Giuseppe

Sono Giuseppe, ho 25 anni, vivo con i miei genitori e la mia vita è sempre stata apparentemente normale.

I miei sabato pomeriggio, erano scanditi da eccitanti sorprese all’ippodromo; avevamo cominciato così, giusto per fare qualcosa di diverso, qualcosa di divertente e di proibito: infatti ci facevano entrare e soprattutto scommettere, nonostante fossimo minorenni. I soldi per giocare li recuperavamo dalle paghette dei nostri genitori, spesso usavamo anche quelli per l’abbonamento dell’autobus. Capitava anche che alcuni signori chiamavano noi ragazzi, ci davano dei soldi e una schedina, e ci dicevano su chi scommettere. È così che sono diventato il “portafortuna” di un simpatico trentenne.
Diceva che era il mio “tocco magico” a fargli vincere le corse. Niente di che, ma intanto mi lasciava una piccola percentuale sulla vincita e non solo: grazie alla sua esperienza nel campo dell’ippica, aveva cominciato ad insegnarmi i trucchi del mestiere, dandomi le dritte sulle scuderie, su come riconoscere un cavallo vincente e sulle carriere dei vari fantini. In questo modo ho iniziato a scommettere.

Avevo coinvolto anche i miei amici in questo studio, molto più proficuo di quello scolastico, e qualche giorno prima del fatidico ritrovo del sabato, ci preparavamo documentandoci sui cavalli delle singole corse e sui fantini, e ci sentivamo dei “grandi”.

Col passare del tempo, i miei amici si sono fidanzati e i fine settimana li passavano in dolce compagnia, ma il sabato, il mio sabato invece, restava consacrato alle corse. Ho avuto qualche storiella, ma tutte di breve durata; ho anche provato a portare la ragazza di turno all’ippodromo, ma nessuna ha mai capito la magia di quel posto, non avevano idea della voglia matta che avevo di giocare, di sentirmi in preda all’adrenalina…mamma mia, che bella sensazione, come una droga, che però non fa male! Visto che i miei amici e le mie “amiche” preferivano passare il loro tempo senza emozioni, a chiacchierare davanti ad un caffè, senza rischi. Mi dicevano spesso: “Tu sei pazzo” e io rispondevo sempre “Chi non risica, non rosica!”. Ho preferito continuare ad andare alle corse o in agenzia da solo.

Pensavo a quanto fossero noiosi, io giocavo d’azzardo e ogni volta che puntavo non mi sentivo solo vivo, pieno di adrenalina, ma capace anche di governare la fortuna e farla girare a mio favore. Dopo una grossa vincita ho cominciato a perdere e più perdevo e più giocavo; più aumentavano i soldi che scommettevo e maggiori erano le uscite, ma dentro di me ero sempre più certo che si sarebbe avvicinato il momento di un’altra importante vincita. Ciò doveva accadere per forza: erano mesi che non vincevo nulla e sapevo che prima o poi la fortuna avrebbe ripagato i miei sforzi. Non ho mai più vinto.

Continuavo a giocare, nonostante tutto: non mi stavo accorgendo che pian piano i miei rapporti col resto del mondo si stavano rovinando. Le uniche persone che frequentavo erano gli altri avventori delle sale corse, sì perché col tempo ho anche smesso di andare all’ippodromo: in agenzia potevo seguire più corse e potevo quindi giocare di più.

Quando sono entrato sono rimasto incantato: com’erano eccitanti quelle luci, si respirava un’aria surreale e poi, tutta quella gente di classe, restavo lì a guardare quelli che puntavano una montagna di fiches con quello sguardo pieno di attesa e il loro fremito in corpo che catturava la mia attenzione. Accidenti! Altro che cavalli, in effetti, forse, per vincere di nuovo, dovevo cambiare gioco. Ai tavoli della roulette era possibile tenere d’occhio sui tabelloni le precedenti uscite: quante volte era uscito il rosso, da quanto non usciva tal numero, e così via.

Ho aspettato un paio di mesi prima di tornare di nuovo al Casinò, per darmi il tempo di mettere da parte un po’ di soldi; in quei mesi ho fatto il “bravo ragazzo”, sono andato sempre a scuola, non ho più giocato ai cavalli e i miei hanno smesso di rompere; negli ultimi tempi, infatti, erano diventati un po’ pesanti: mi chiedevano spesso dove me ne andassi, mi sgridavano per i voti a scuola e per le continue false giustificazioni che facevo quando non ci andavo.

Quando finalmente avevo da parte la cifra che mi ero prefissato, sono tornato da solo al Casinò. Quando ho comprato le prime fiches, il mio unico pensiero è stato: “Ora sono come loro”, come quelli ben vestiti e pieni di soldi…anch’io, quel giorno, mi ero vestito da signore. Mi sono avvicinato ad uno dei tavoli della roulette e inizialmente ho osservato; sapevo cosa puntare e che strategia avrei seguito. L’adrenalina ha cominciato a farsi sentire e quando le mani hanno iniziato quasi a tremarmi, mi sono seduto, ho puntato un paio di fiches sul rosso e poi via: c’ero solo io e la pallina che girava e quella voglia fortissima di puntare ancora, ancora e ancora.

Senza che me ne rendessi conto, con il passare dei mesi, avevo perso l’equivalente di quello che avevo vinto quel giorno all’ippodromo, ma in fondo avevo la certezza che prima o poi la fortuna sarebbe tornata a sorridermi, dopotutto lo aveva già fatto e da allora erano passati quattro anni. La fortuna era ancora in debito con me. Le puntate aumentavano, perché più soldi giocavo una volta, più aumentava l’adrenalina e la possibilità, in caso di vincita, di ottenere più denaro. Non ho più vinto, ma arrivato a quel punto, non m’interessava più nulla: io volevo solo giocare, giocare e ancora giocare ed era l’unico modo per sentirmi ancora vivo.

Mi trovo in cura da un paio di mesi presso una struttura di Bolzano e qui, a parte il calore e la comprensione totale di cosa prova un giocatore, ho scoperto che si tratta di una vera e propria malattia psichiatrica. Stanno aiutando anche la mia famiglia, sostenendola e dando loro tutto il supporto psicologico di cui hanno bisogno. Qui si occupano anche della sfera economica del rapporto che ho con il denaro: è assolutamente vero, infatti, che noi giocatori abbiamo perso il contatto con il valore dei soldi, 10.000 euro o 100.000 euro erano la stessa cosa. Sto lentamente prendendo coscienza dei problemi di fondo che mi hanno portato a rifugiarmi nel gioco. È difficile stare in astinenza, prima di tutto perché ora mi accorgo di quante occasioni vengono offerte per giocare, di quanti messaggi legati al gioco d’azzardo riceviamo ogni giorno, dalla televisione, per strada, nei discorsi della gente; ma la cosa più difficile per me è riuscire a controllarmi e a non andare a giocare nei momenti stressanti.

Devo dire che tutto sommato, però, non è impossibile vivere senza gioco, anzi: sto iniziando a rendermi conto dei miei reali desideri (come, ad esempio trovare una ragazza!), riesco a dormire (finalmente!), ho trovato un lavoro che mi piace e ho ripreso i contatti con alcuni vecchi compagni di scuola. So che posso farcela e sono orgoglioso dei passi ho già fatto.